Che la presenza dell'uomo a Brembilla e nella sua valle si debba far risalire a tempi molto antichi è dimostrato dal ritrovamento nella zona del Cerro di alcuni oggetti (una punta di freccia in selce e un anello di collana in steatite) risalenti a qualche migliaio d'anni prima di Cristo. Gruppi di cacciatori-raccoglitori percorrevano allora le nostre vallate, questi uomini si trasformarono in seguito, nel volgere dei secoli, in pastori e in agricoltori. Non ci è dato sapere quali lotte, quali sconvolgimenti, quali trasformazioni, quali fusioni si siano verificate quando altri popoli si insediarono da queste parti prima i Galli, popolazioni celtiche provenienti dalle foreste dell'Europa centrale, poi forse le punte avanzate dell'espansione etrusca e infine, nel primo secolo avanti Cristo, i Romani.

Del periodo passato sotto la dominazione romana non rimane traccia alcuna. Tale mancanza pressoché assoluta di notizie e tale silenzio delle fonti documentarie accomuna del resto la quasi totalità delle località della Val Brembana e si protrae fino a coprire praticamente tutto il primo millennio dell'era cristiana.

La Corte di Almenno

Documenti posteriori ci permettono però di accertare con assoluta sicurezza che al tempo dei Longobardi Brembilla faceva parte dei possedimenti della Corte di Almenno. Era una corte molto vasta, che comprendeva , oltre alla piana di Almenno, la zona di Palazzago, le valli Imagna e Brembilla, la bassa Valle Brembana, le attuali Almè e Villa d'Almè. Era inoltre una corte regia, cioè uno di quei possedimenti che venivano dati in appannaggio al re dei Longobardi quando i duchi che comandavano questo popolo eleggevano uno di loro a questa carica. L'esistenza ad Almenno di un importantissimo ponte romano sul Brembo che si trovava su una strada militare diretta verso le Alpi (il famoso ponte della Regina, di cui ancora oggi si possono vedere alcune vestigia) testimonia l'importanza di questa località anche al tempo dei Romani e può suffragare l'ipotesi che essa fosse il centro di un "pagus".

Con la calata in Italia di Carlomagno e dei suoi Franchi, la corte cambiò padrone più volte: dapprima venne affidata al margravio Corrado, capostipite dei conti di Lecco; nell'875 il re Ludovico il Tedesco la donò a Ermengarda, figlia dell'imperatore Lotario, ma nell'892 il re Guido la ridiede a Corrado; nel 975, infine, il suo ultimo discendente, il conte Attone, la cedette al vescovo di Bergamo. Tutta la parte situata sulla riva sinistra del Brembo (Almè, Villa d’Almè, Sedrina, Stabello) si staccò, invece, e divenne proprietà dei conti Ghisalbertini.

Il dominio episcopale declinò lentamente nell'XI° secolo, durante le lotte per le investiture. Anche nel caso di Almenno questa crisi fu il presupposto per la nascita e l'affermazione delle autonomie comunali. Bisognò comunque attendere il XIII secolo perchè Brembilla riuscisse a sua volta a rendersi autonoma da Almenno. Il territorio di Brembilla comprendeva allora, come risulta inoppugnabilmente da tutti i documenti dell'epoca, tutta la valle Brembilla vera e propria (compresi gli attuali comuni di Gerosa e di Blello), tutta la riva destra del Brembo dalla confluenza della Brembilla a quella dell'Imagna (l'attuale comune di Ubiale-Clanezzo) e, non si capisce ancora in che forma, anche la zona della bassa Imagna comprendente Mortesina, Opolo, Botta, su fino al colle di Berbenno (zona nominata Brembilla Vecchia ancora nelle carte geografiche del secolo scorso).

Lotte tra guelfi e ghibellini

Nel secolo successivo esplosero le lotte sanguinose tra le fazioni guelfa e ghibellina. Bergamo e il suo territorio non vennero risparmiati: diventarono il terreno su cui si scontrarono sul piano interno le brame di potere dei Suardi e delle loro parentele e clientele da una parte, e quelle dei Rivola, dei Bonghi e dei Colleoni dall'altra. Dall'esterno si sovrapposero le mire espansionistiche dei milanesi e dei veneziani sul territorio bergamasco. I Brembillesi finirono col ritrovarsi ghibellini, vale a dire dalla parte dei Suardi e dei Visconti di Milano. La famosa "Cronaca” di Castello Castelli, diario sulle lotte delle fazioni a Bergamo nella seconda metà del Trecento, vede i brembillesi sempre protagonisti nelle file dei ghibellini, instancabilmente dediti, di solito in compagnia degli Arrigoni di Taleggio, alla caccia al guelfo e al sostegno della causa del duca di Milano. Non scelsero comunque il partito giusto, perché gli eventi storici successivi avrebbero dato ragione a Venezia.

Già con la pace del 1428, infatti, la Serenissima si vide assegnati Bergamo e il suo territorio. Negli anni seguenti, però, data la fluidità della situazione, i Brembillesi non lasciarono nulla d'intentato per favorire il ritorno dei milanesi, dandosi perfino a scorrerie sotto le mura di Bergamo. Fu così che nel 1443 Venezia decise di dare una punizione esemplare ai ribelli: attirati i capi a Bergamo con uno stratagemma, li imprigionò e diede tre giorni di tempo ai brembillesi perché abbandonassero le loro case prima che i guastatori venissero a metterle a ferro e a fuoco. Per Brembilla fu la fine. I suoi abitanti andarono in esilio, rifugiandosi per lo più nel milanese (dove i duchi, memori della loro fedeltà incondizionata, li aiutarono e li protessero), dando così origine alla numerosa e ...”meneghina” stirpe dei Brambilla. Le terre vennero confiscate e assegnate a fedeli della Repubblica. Brembilla si ridusse entro i confini attuali. Le venne perfino cambiato il nome: diventò il comune di San Giovanni Laxolo.

Dalla dominazione veneta al Regno d'Italia

Da allora in poi Brembilla seguì i destini di Bergamo e del suo territorio. Unici fatti di rilievo durante il lungo periodo di dominazione veneta (durata oltre tre secoli e mezzo) furono la visita pastorale di San Carlo Borromeo (1575) e la tremenda peste del 1630, di manzoniana memoria, durante la quale perì il 43% della popolazione del comune.

Nel 1797 Napoleone inferse il colpo decisivo a Venezia, che da molto tempo si trascinava in una decadenza dignitosa ma inesorabile. I fermenti rivoluzionari non trovarono però terreno fertile in una comunità piuttosto tradizionalista come quella di Brembilla (come del resto in tutte le vallate), dove la ribellione antinapoleonica trovò ferventi sostenitori. A Brembilla, infatti, l'albero della Libertà, simbolo della rivoluzione eretto per ordine dei Francesi in tutte le località, venne abbattuto e sostituito con il leone di San Marco. In questo periodo il comune si riprese la frazione di Cadelfoglia (che allora si chiamava anche Caduninè) con le vicine contrade di Grumello, Passabona, Gaiazzo e Cavaglia, che per tutto il periodo veneto avevano fatto comune a se, facendo anzi le "fazioni" (cioè pagando le tasse e le imposte) insieme a Gerosa. Per tutto il periodo napoleonico, anzi, anche la stessa Gerosa rimase compresa nel comune di Brembilla. È di questo periodo anche lo spostamento del cimitero dal sagrato attorno alla chiesa fino alla posizione attuale. Nel frattempo numerosi gruppetti di disertori e di renitenti alla coscrizione obbligatoria imposta dalle nuove autorità, trasformatisi in "saltadùr de strada” rendevano problematico anche percorrere la mulattiera dai Ponti a Brembilla e la gente non era al riparo dalle rapine nemmeno nelle proprie case.

Nel 1814 la caduta di Napoleone, il congresso di Vienna e la restaurazione sotto la bandiera dell'impero austro-ungarico coincisero con l'ultima grande carestia che abbia colpito Brembilla: ancora oggi si tramanda di persone trovate morte di fame con una manciata d'erba in bocca, di "löc” carpiti per un sacco di farina a poveri padri disperati da ignobili speculatori.

Il periodo della dominazione austriaca passò senza particolari scossoni; non si ha notizia di patrioti brembillesi, che mancano perfino nella può nutritissima rappresentanza di bergamaschi tra i Mille di Garibaldi. È di questo periodo, però, tra il 1856 e il 1858, la costruzione della strada carrozzabile Ponti di Sedrina, Brembilla, Olda. Dovette essere per la nostra gente un evento memorabile quello che fece uscire la Val Brembilla (insieme con la Val Taleggio) dal suo secolare isolamento.

Con l'annessione al Regno d'Italia (1861) iniziò per Brembilla un vero e proprio boom demografico: in cinquant'anni (1871-1920) la popolazione raddoppiò, passando da 2360 ad oltre 4600 abitanti. Il peso di tante bocche da sfamare divenne insopportabile per un territorio così ristretto e di scarse risorse.

L'emigrazione

L'emigrazione, che pure era sempre stata nei secoli una valvola di sfogo all'eccesso di popolazione (basti pensare ai brembillesi che già nel Trecento troviamo a Genova come scaricatori di porto, inquadrati nella Compagnia dei Caravana), assume dimensioni colossali per la nostra realtà. Poco avanti la prima guerra mondiale sono circa 1300 (!) i brembillesi che emigrano all'estero: sono per lo più degli stagionali, che partono in primavera e ritornano in patria poco prima di Natale; le loro mete sono soprattutto i boschi e i cantieri della vicina Francia. Ma dopo la grande guerra l'emigrazione cambia aspetto e diventa quasi sempre definitiva: interi gruppi di famiglie se ne vanno e negli anni tra le due guerre, dal 1920 al 1936, la popolazione scende da 4600 a 3110 abitanti, nonostante la natalità non accenni a diminuire.

Intanto Brembilla cambia aspetto. La costruzione della nuova grande chiesa parrocchiale, con l'asse, a differenza dell'antica, rivolto da sud a nord, sembra riorientare l'assetto urbano nella stessa direzione della strada provinciale; lo stesso nuovo municipio, decentrato rispetto al nucleo abitativo principale, conferma le linee dello sviluppo urbanistico. Poco alla volta si riempie il vuoto tra il centro storico di Brembilla, posto ai piedi dello zoccolo su cui si erge la chiesa, e la sua frazione più vicina, Cà de Guerino, e l'abitato comincia ad allungarsi verso Cadelfoglia.

La seconda guerra mondiale

Arriva poi la seconda guerra mondiale e Brembilla paga ancora, come nella grande guerra il proprio contributo di sangue (153 i morti nei due conflitti) ed è per di più essa stessa teatro di fatti dolorosi (ad esempio i tre morti per mano dei “repubblichini” nel luglio del 1944).
Usciti dal lungo tunnel della guerra, anche a Brembilla è giunto il momento di rimboccarsi le maniche. Molti, tornati dal fronte o dalla prigionia , riprendono la valigia e si avviano oltre frontiera, per strade che generazioni di brembillesi hanno imparato a conoscere; altri restano in paese e lavorando con caparbietà e determinazione impediscono che lo spettro dello spopolamento e dell'arretramento economico diventi realtà.

Le realtà produttive

In paese non mancano realtà produttive. I discendenti di quegli "animini” (cioè tornitori di piccole rondelle di legno che servivano da anima ai bottoni) che troviamo citati già nel 1830, hanno ormai impiantato da decenni stabilimenti di discrete dimensioni nel settore della lavorazione del legno ad essi si è aggiunto negli anni trenta uno stabilimento di meccanica. Ora che le macchine hanno ripreso a "cantare” a pieno ritmo, si assiste ad uno straordinario fenomeno di disseminazione di imprenditorialità. Gli operai più dotati e ambiziosi, diventati artigiani e imprenditori, fondano a loro volta altre aziende, che oggi in qualche caso hanno raggiunto o superato per dimensioni e livello tecnologico le case... madri. Il fenomeno si è poi ripetuto e possiamo dire di esserne ormai alla terza generazione. Anche altri paesi della nostra provincia ne hanno beneficiato, perchè, a causa dell'esiguità del territorio e della relativa lontananza dai mercati, molti per espandersi hanno dovuto abbandonare Brembilla, andando ad impiantare la loro attività produttiva in luoghi più vicini alla città. Tutto questo, sostengono orgogliosamente i brembillesi, senza agevolazioni particolari né interventi dello Stato, ma basandosi esclusivamente sulle proprie forze, sulla propria straordinaria capacità di lavoro, di adattamento e di sacrificio.

Brembilla Oggi

E così oggi la fisionomia di Brembilla è profondamente mutata. La popolazione, un tempo disseminata in una miriade di contrade sparse su entrambi i versanti della valle, si è concentrata nelle frazioni più grosse. Il trend demografico si è invertito e da 40 anni è sempre stato positivo, tanto che Brembilla è una delle poche realtà brembane a non aver visto diminuita la sua popolazione in questo dopoguerra. Contemporaneamente l'economia, basata un tempo su una magra agricoltura di montagna il cui unico prodotto di esportazione era il carbone di legna e che per la sua insufficienza costrinse da sempre i brembillesi all'emigrazione, si è trasformata. Brembilla, grazie allo spirito d'iniziativa dei suoi abitanti, è ora un polo industriale e artigianale di prim'ordine sistemato dove proprio uno non se lo aspetterebbe: tra i prati, i boschi e le rocce di una verdeggiante e discosta valle prealpina.

Scritto a cura del Prof. Giovanni Salvi.